lunedì 19 agosto 2013

Quando sarò vecchio



Quando sarò vecchio vorrei lavorare, dato che non l’ho fatto per moltissimo tempo, prima.
Arrivare stanco a casa la sera, quel tanto che basta per non addormentarmi di colpo davanti alla televisione.
Quando sarò vecchio vorrei essere vecchio, che non significa anziano ma nemmeno fanciullo. Sentire il peso delle ossa e provare un ruvido attrito nel passare le dita tra le rughe e gli ispidi peli della barba rada - quel tanto che basta per non farmela tutte le mattine e, così, poter dormire un po’ di più.
Quando sarò vecchio vorrei avere tanti capelli bianchi, magari con qualche spruzzata di grigio: che il brizzolato ha sempre il suo fascino. Anche se non sarò più in cerca del gentil sesso, perché quello che dovevo fare l’avrò già fatto prima.
E ancora, quando sarò vecchio vorrei la faccia zeppa di rughe, di solchi marcati, di crepacci profondi; di zappate del tempo, come i crateri sul viso della luna.
Quando sarò vecchio vorrei non essere necessariamente saggio - quel tanto che basta per non farmi più fregare e non fregare gli altri, dato che l’avrò fatto prima. Non essere costretto a insegnare la storia per tirare, alla fine, delle morali retoriche sul Tempo. E non dover per forza apparire buono e rassicurante, ma mostrare quell’arroganza critica e leggermente misantropa, che mi tenga a debita distanza dagli altri vecchi.
Quando sarò vecchio vorrei non maledire il presente; ma neanche conformarmi alle mode del momento - quel tanto che basta per guardare le cose da una certa distanza. E lasciare aperta la porta del futuro, portandomi dietro le chiavi del passato. E quelle di casa.
Quando sarò vecchio non avrei mai voluto scrivere queste righe quando ero ragazzo, perché, oggi come allora, non stavo poi così male.

Tra le rane e le stelle




Tra le rane e le stelle
su un sentiero sterrato tra la polvere e il cielo.
Sopra alla ghiaia del bivio notturno.
La bici al mio fianco respira in silenzio.
Davanti è la città:
sulla tangenziale sfrecciano le auto
in un gioco di suoni e rumori, nello specchio di fari e lampioni.
Alle mie spalle una festa:
gli schiamazzi in primo piano coprono in parte i bassi della discoteca;
le casse rimettono musica che
in confronto il motore dei bolidi è un’aria di valzer.
E ancora grida di gioia,
che sono urla disperate di chi invoca aiuto e non lo sa,
le cui vibrazioni arrivano fino all’erba
per comunicare tutto lo smarrimento di una generazione, di una società, di un’epoca.

Il sentiero stellato nel cielo notturno,
dove gli astri sono segnavia che tracciano il cammino di viaggiatori spaziali.
I ragazzi e le ragazze gracidano dietro di me.
E’ qui la festa, nel silenzio del bivio;
e a godersela tutta è la bicicletta -
perché io sono nient’altro che polvere.