lunedì 5 dicembre 2016

L'Austria dice sì al Presidente verde

Mentre in Italia ha vinto il NO al referendum costituzionale, e il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha annunciato le dimissioni, nella Repubblica Austriaca è stato eletto un professore ecologista.



“È davvero un giorno storico”, hanno commentato i copresidenti del partito dei Verdi europeo Reinhard Butikofer e Monica Frassoni. “Vincono europeismo e solidarietà”, sono state le prime parole di Alexander Van der Bellen, il candidato dei Verdi diventato il 9º Presidente della Repubblica Austriaca, dopo aver conquistato il 53% di voti. 


Il Presidente “sostenibile”

L’anziano professore ecologista è stato eletto durante la ripetizione del ballottaggio svoltosi il 23 maggio scorso, che Van der Bellen aveva già vinto, ma che era poi stato annullato quest’estate per irregolarità procedurali nello spoglio dei voti per corrispondenza. Lo sconfitto è Norbert Hofer, populista ultranazionalista ed euroscettico appartenente al partito di estrema destra xenofobo, che aveva anche lanciato l’ipotesi di una Oexit, cioè l’uscita dell’Austria dall’Ue. 
Ha vinto invece un figlio di profughi, poiché entrambi i genitori - padre russo di origine olandese e madre estone - emigrarono in Tirolo, all'epoca parte del Reich tedesco dopo l'invasione dell'Estonia da parte dell'Unione Sovietica nel 1940. Van der Bellen è così cresciuto nel Kaunertal, la splendida valle incastonata tra le montagne tirolesi. A Innsbruck inizia la sua carriera accademica come professore di Economia. A Vienna entra in contatto con la politica: prima coi socialdemocratici, in seguito si aggrega al movimento ecologista in occasione delle proteste del 1984 contro una centrale nucleare sul Danubio.



Le reazioni sui social

Van der Bellen, il presidente “sostenibile”, è inoltre portavoce di un'idea di Europa multiculturale e tollerante, sostenendo la solidarietà come risposta alla crisi dei migranti. Esponente dello schieramento progressista, rappresenta perciò il politico che può fermare l’onda lunga di Trump e della Brexit. 

La notizia ha rimbalzato sui social network. Su Twitter Monica Frassoni, Co-Presidente del Partito Verde Europeo, ha cinguettato: “Vince #VanDerBellen #austria verde! Ma anche libera, tollerante, aperta, allegra!!”. Anche Paolo Gentiloni, nostro Ministro degli Esteri e della cooperazione internazionale, ha espresso il suo parere positivo: “La vittoria di #VanDerBellen in Austria è davvero una bella notizia per l'Europa”. “Spero che Renzi vinca il Referendum”, aveva invece auspicato il neo presidente austriaco. Come sappiamo, per il referendum costituzionale italiano è andata diversamente.

martedì 29 novembre 2016

Benvenuti a Italia: città fantasma della Florida

Esiste un'Italia negli Usa. E non si tratta di Little Italy, e nemmeno delle comunità di connazionali emigrate – magari da generazioni – nel Nuovo Mondo, che ogni anno celebrano il Columbus Day per ricordare la Madre Patria – magari ancora baciando le mani a qualche padrino. Si tratta invece di un villaggio situato nella Contea di Nassau, nello Stato della Florida.


In realtà, non è una città vera e propria, ma un cosiddetto census-designated places, che sta per "area non incorporata", ossia un posto che a differenza di city, town e villagenon possiede un modello amministrativo legalmente riconosciuto. Adesso Italia è pressoché un non-luogo: ma vanta una storia che merita qualche cenno.



L'Italia d'America


Italia fu fondata nel 1882 da un imprenditore di origine irlandese chiamato William MacWilliams, che scelse quel nome perché la località ricordava il Bel Paese, in virtù del suo clima temperato e della forma peninsulare della Florida, non a caso soprannominata all'epoca "L'Italia d'America".

Precisamente, il sito si trovava al 18º miglio della Florida Transit Railway. Il proprietario della ferrovia, un certo senatore David Yulee, persuase MacWilliams a erigere in quel punto una fabbrica di mattoni, promettendo di comprare subito un milione di laterizi.

Così a Italia spuntarono oltre all’impianto anche un deposito, un ufficio postale e un emporio. Il piccolo villaggio iniziava a svilupparsi economicamente, tant’è che l’anno successivo, tale Nathan Levan edificò uno stabilimento di scandole in legno per tetti, e tale Andrew Higginbotham vi realizzò una segheria. Il risultato è che nel 1885 il sobborgo Italia vantava oltre 100 abitanti.




Fine della corsa


Le attività economiche del villaggio iniziarono piano piano a brulicare. Nel 1905 Thomas Shave vi si trasferì dalla Georgia per costruire una distilleria di trementina, una resina particolare che si ottiene dall’incisione di un albero. In seguito Shave lasciò la fabbrica al figlio di Higginbotham, quello della segheria e, in pochi anni, la trementina divenne il prodotto tipico di Italia.


Tuttavia, la principale fonte di ricchezza di Italia rimaneva sempre la vecchia ferrovia, grazie alla quale i manufatti locali raggiungevano i mercati. Finché, intorno al 1920, la tratta dei binari fu deviata, tagliando fuori Italia. Perciò, le attività produttive furono costrette a serrare i battenti, o a trasferirsi in zone migliori. Un ultimo tentativo di rianimare l’economia di Italia fu tentato negli anni ’30, quando venne realizzata la State Route 200, la nuova superstrada parallela alla ferrovia. Ma ormai era troppo tardi: il sogno della piccola Italia era già sfumato; essa andava ad aggiungersi alle altre ghost town d’America.


venerdì 18 novembre 2016

Bob Dylan e comunicazione ambientale

Oramai è diventata virale la notizia del “gran rifiuto” di Bob Dylan (nato Robert Allen Zimmerman) ai “parrucconi” di Svezia. Così, se la consegna del Nobel al menestrello del rock già aveva acceso un vivace dibattito tra apocalittici e integrati sulla musica come forma di letteratura, adesso la vicenda si è fatta ancora più scottante.
Proprio nel momento in cui il miliardario Donald Trump – secondo il quale il cambiamento climatico risulta nientepopodimeno che una “cavolata” – pare allora interessante indagare il contributo di Dylan, se non alla letteratura più alta, per lo meno alla comunicazione ambientale.


Il La del movimento ecologista Usa

Effettivamente, l’epoca in cui Dylan ha iniziato la sua carriera artistica ha dato, per così dire, il La al movimento ecologista statunitense, amplificando i malumori del periodo. Durante i cosiddetti Sixties, infatti, la gente incominciò a sperimentare modelli di vita alternativa più vicini alla natura, grazie anche al fatto che alcuni temi ambientali furono introdotti al grande pubblico dalle canzoni di Pete Seeger, Jimi Hendrix, Joni Mitchell e, appunto, Bob Dylan.

Nel 1963, per esempio, Dylan incise A Hard Rain’s A-Gonna Fall, dove viene toccato il tema del rapporto tra uomo, tecnologia e natura. Il brano diede voce alla paura diffusasi tra le persone a causa della corsa agli armamenti atomici. In questo caso, Bob Dylan riuscì a fondere in un nuovo prodotto di massa, destinato al mercato discografico, la popular music e la canzone di protesta a stelle e strisce.


Aria tossica a casa nostra  

Già dai primi versi del pezzo si respira una sensazione di olocausto atomico, descrivendo le malefatte nucleari degli uomini contro una natura incontaminata. L’immagine di un paesaggio di morte e desolazione stride perciò con la dolce armonia degli accordi di chitarra. Il cantautore, in altre parole, intravide i pericoli insiti in certe attività umane, che mettono a repentaglio la salute del pianeta (e dell’uomo stesso ovviamente), comunicando con note e parole la tetra visione di un futuro incerto per la sopravvivenza dell’ecosistema terrestre – la nostra Home Sweet Home.
E cosa succederebbe, allora, se ci risvegliassimo e scoprissimo all’improvviso che il futuro cantato da Dylan assomiglia al nostro presente? La risposta, amico mio, sta soffiando nel vento…



mercoledì 9 novembre 2016

Syria (1° novembre 2016)


Fuori ci sono le bombe
e io non ho più casa.
Solo pietre e detriti,
macerie di cielo e sogni infranti,
petali arrugginiti e brandelli di versi sbiaditi.
Non esiste più un dentro e un fuori,
notte e giorno, un alto e un basso,
un giusto e sbagliato.
Il fumo copre il sole e le stelle,
le nuvole salgono dalla terra
e il fuoco esplode in tramonti di sangue e fango
su questa mezza luna sterile.
Corpi accartocciati 
e urla incastrate nel cemento,
tra ferro cartucce e mortai.
Il vento puzza di gasolio
e porta sabbia del deserto
e frammenti di conchiglie 
dalle spiagge dorate,
insieme ai cristalli di sale delle rocce amaranto
e ai canti dipinti dalle onde del mare,
e foglie e danze e spezie.

Qui ci sono le bombe
e io non ho più casa.
Qui c’è la guerra
e io non ho più pace.
So che nella notte
i fiori risorgono 
per brillare di luce e rugiada,
come verdi diamanti,
gemme di silenzio.

martedì 1 novembre 2016

In guerra per amore di Pif: la “iena” che ride e commuove

Il sentimento che tutto move, e la più ignobile delle nefandezze umane. Come si può portare l’amore nel bel mezzo della guerra? Solo un ingenuo sognatore come Pif (al secolo Pierfrancesco Diliberto: regista, attore, conduttore televisivo e radiofonico) poteva riuscirci.

In guerra per amore è il suo secondo (capo)lavoro, dopo l’altrettanto più che riuscito La mafia uccide solo d’estate (recentemente trasportato in formato serie tv dalla Rai). Il Peter Pan dello schermo italiano dimostra nuovamente la sua intelligente bravura e le sue doti artistiche, presentando un importante episodio della storia nostrana – la “liberazione” della Penisola per mano dell’esercito statunitense – in una chiave pedagogica ma non didascalica, toccante ma non patetica.


Ciò che, più di ogni altra cosa, è apprezzabile dello stile di Pif è senz’altro la capacità di parlare al Pubblico con la “P” maiuscola, nel senso che riesce a comunicare attraverso un registro linguistico fruibile da un ampio spettro di spettatori – che sono poi i paganti ai botteghini che tengono in vita i cinema e il cinema. Tuttavia, senza strizzare l’occhiolino al becero populismo qualunquista. Anzi, il suo è un cinema impegnato civilmente e politicamente, nell’originaria accezione del “vivere insieme”.

Il film è allora una commedia drammatica, in grado di smuovere le coscienze della platea, incastrando abilmente scene divertenti e momenti tragici, battute ironiche e fotogrammi colti (vedi la messinscena della celebre fotografia di Robert Capa, scattata proprio in Sicilia nel 1944. Oppure la fine del duce Benito Mussolini, il quale finisce appeso a testa in giù sullo stendibiancheria di un davanzale, condannato dall’esasperazione di un popolo illuso e affamato).


La famosa fotografia di Robert Capa a Troina, in Sicilia:
un contadino mostra a un soldato americano la direzione presa dai tedeschi. Da http://www.comune.troina.en.it/robert_capa.html 

Il Testimone di MTV documenta così una testimonianza poco nota della storiografia tricolore: la commistione tra mafia e Yankees nella ricostruzione post bellica. Creazione e distruzione. L’Italia si costruisce grazie all’aiuto dei forestieri americani, mentre viene disfatta da quegli italiani fantocci, manovrati come pupi dai connazionali emigrati padrini d’oltreoceano.

Il racconto della cinepresa segue perciò le gesta coraggiose e le scelte esemplari di uomini e donne che hanno cercato stoicamente di salvare il nostro Paese dalle malefatte della criminalità, organizzata o meno. Vengono poi toccati di lato vari temi, come l’omosessualità in un epoca (…) dov’era un tabù; la condizione femminile e la questione meridionale, oltre ai tic e ai vetusti problemi del Sud della Stivale.

L’amore per Flora, l’adorata del protagonista, diventa così ardore per la patria, ma spogliata di ogni nazionalistico e sciovinistico decoro militare. Insomma, un film patriottico e non patriottistico, che proietta ideali privi di ideologia.


In conclusione, Pif si cala ancora una volta nella parte del sempliciotto ragazzo di campagna, con quel sorriso un po’ scimunito, e quell’espressione un po’ così, ma con gli occhi che brillano e il cuore grande, capace di modellare plasticamente i lineamenti della maschera facciale delle persone facendole ridere, piangere, comprendere, agire. Per il Bene, la Pace, la Libertà e la Giustizia di questa Terra.

Fabio Dellavalle



lunedì 31 ottobre 2016

Al Forte di Bard assegnati gli Oscar della comunicazione ambientale

I vincitori del Premio AICA 2016 per la comunicazione ambientale






Il 28 ottobre, al Forte di Bard, hanno sfilato le “star” della comunicazione ambientale, come Paola Maugeri (Virgin Radio e MTV) e la Banda Osiris (musica, teatro, cabaret).

La Banda Osiris per la categoria “Comunicare con i cittadini (attraverso la musica) fa bene all’ambiente”; il Kyoto Club per la categoria “Comunicare i cambiamenti climatici”; Alex Zanotelli per la categoria “Premio alla Carriera Beppe Comin”. Ecco i vincitori del Premio AICA 2016per la Comunicazione Ambientale.

La cerimonia finale si è svolta venerdì 28 ottobre al Forte di Bard. Durante le serata sono stati svelati i nomi degli “Oscar della Comunicazione Ambientale”, ossia personalità, organizzazioni o campagne comunicative che si sono distinte per aver divulgato in maniera efficace le complesse questioni ecologiche.
La giuria ha scelto la Banda Osiris, per la sua formidabile capacità di divulgare le problematiche ambientali in maniera ironica e intelligente attraverso i suoi spettacoli itineranti, utilizzando gli strumenti non solo musicali, ma anche quelli del teatro e del cabaret. I rocamboleschi artisti hanno regalato al pubblico la loro simpatica e contagiosa bravura tecnica.
Il Kyoto Club, invece, rappresentato dalla responsabile dell’area comunicazione Clementina Tagliento, è stato premiato per aver promosso efficaci iniziative di sensibilizzazione nei campi dell’efficienza energetica, dell’utilizzo delle rinnovabili e della mobilità sostenibile, organizzando azioni volte ad arginare l’impatto del climate change.
Il riconoscimento alla carriera, infine, è stato assegnato ad Alex Zanotelli, missionario impegnato a livello sociale e ambientale, ispiratore e fondatore di diversi movimenti tesi a creare condizioni di pace e di giustizia solidale nel mondo. Ha contribuito al volume Curare Madre Terra. Commento all'enciclica “Laudato si'” di Papa Francesco. Ha ritirato il premio Claudio Crimi, altro padre comboniano, che è intervenuto sui problemi dell’acqua pubblica e dell’emergenza idrica.
Ospite d’eccezione dell’evento è stata Paola Maugeri: nota speaker radiofonica su “Virgin Radio”, autrice e conduttrice di programmi televisivi. La dj e vj siciliana ha raccontato ai presenti il suo esperimento ecosostenibile (poi diventato libro), La mia vita a impatto zero. Il progetto consisteva in una serie di azioni virtuose – per la Terra e il benessere dell’umanità –, allo scopo di riflettere sul consumismo e sul mercato che governa il nostro pianeta. Vegana da molti anni, Paola Maugeri ha scritto libri come Alla salute! e Las Vegans.
Inoltre, un piccolo ma significativo esempio “dal basso”, per il loro metodo di lavorare la terra nel rispetto della natura, è arrivato dal Collettivo Agricolo "LA TERRA CHE RIDE”. Si tratta di un gruppo di contadini Valdostani, che si è posto l’obiettivo di promuovere e valorizzare un modo nuovo di coltivare, per produrre frutti bio e a km0, OGM e chimica free, che propongono al mercato contadino, o durante incontri come il baratto e l’aperitivo condiviso.
Un momento simpatico è stato pure il lancio del contributo video dell’artista hawaiano Jack Johnson, il quale ha salutato e ringraziato gli amici italiani di AICA per averlo candidato come finalista al premio.
Al 1° CLASSIFICATO di ogni categoria è andato un albero da frutto di tre anni da
piantumare. Il riconoscimento è stato scelto in relazione alla natura del Premio, legato appunto alle tematiche ambientali. L’albero, infatti, rappresenta un simbolo concreto della vita sul pianeta Terra, che deve tornare ad essere un orto o un giardino dell’umanità. D’accordo con il celebre aforisma di Nelson Henderson: “Il vero significato della vita è quello di piantare alberi, sotto la cui ombra non prevedi di sederti”.

A tutti i FINALISTI sono state poi consegnate le confetture prodotte dall’Azienda Agricola ERICA di Alba (CN), realizzate con erbe spontanee e la frutta nata dagli alberi di Montelupo Albese. In aggiunta, oltre a una pergamena incorniciata, è stato abbinato il libro Prodotti di nicchia di Langhe e Roero (L’artistica editrice), scritto da Roberto Cavallo in collaborazione con la Cooperativa ERICA. All’insegna dello sposalizio tra cultura e natura, e della biodiversità. 

martedì 13 settembre 2016

Mamma Rai Vs Madre Natura

“Fine di Ambiente Italia. Andava in onda dal settembre '90, su RaiTre nazionale. Dalle 14.50 alle 15.50 per oltre vent'anni; poi spostata dalle 13 alle 14 negli ultimi tempi (nell'ora tradizionale dei tg di mezza giornata), infine ridotta a mezz'ora nell'ultima edizione. Il Paese in diretta, coi suoi mali, le sue meraviglie, le sue ambiguità. Una partecipazione corale, voci, confronti, inchieste sull'onda della stretta attualità. Per capire, supportati da fonti scientifiche autorevoli, chiedendo conto a chi di dovere. Una trasmissione onesta, utile, a disposizione dei cittadini. Di servizio. Da quest'anno è sparita dal palinsesto. Amen”. Con questo post su Facebook, il 10 settembre lo storico presentatore Rai Beppe Rovera annunciava alla rete la chiusura del programma Tv Ambiente Italia.
Sin da subito non sono mancati i commenti e i messaggi di indignazione e, quindi, di vicinanza, da parte del pubblico. D’altra parte, ci si era affezionati alla trasmissione Ambiente Italia, che formava e informava il sabato del villaggio della Penisola, raccontando la grande bellezza e le grandi bruttezze dello Stivale.
Ora il villaggio s’è fatto globale, e pare che non ci sia più spazio per una televisione che curi i contenuti, oltre che la forma. Con l’esplosione di Internet e dei social media, infatti, la comunicazione tende sempre di più a preferire l’immagine sensazionale alla parola sensata, lo scoop dell’ultima ora (ma che dico “ora”? …Secondo!) alla notizia costruita col tempo, e lungimirante verso il futuro.
D’altra parte, viviamo nella società dello spettacolo, nella civiltà dei consumi, nella cultura dell’usa-e-getta, dove tutto o quasi si trasforma in un flusso di merce che, dopo i famosi 15 minuti (secondi?) di celebrità, scompaiono nel buco nero del World Wild Web.

Eppure… eppure la Rai dovrebbe produrre servizio pubblico, al servizio della Nazione. E allora forse converrebbe rileggere qualche articolo della nostra Costituzione, per ricordarsi i principi e i fini delle istituzioni statali e non solo. Per esempio l’art. 9: “La Repubblica […] tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.

Genera allora frustrazione, oltre che un vago senso di abbandono da parte di chi dovrebbe offrire una forma di intrattenimento culturale e intelligente, prendere atto dell’interruzione di Ambiente Italia. Come hanno evidenziato in molti, tra semplici utenti ed esponenti del mondo green tricolore (Antonio Cianciullo, Sergio Ferraris, il portale Greenews.info), si tratta di una perdita assai consistente, che va ad aggiungersi alla precedente chiusura di Scala Mercalli. “Questione di audience”, si dirà, “di spazi pubblicitari, di business, di marketing”. Tutto vero. Ma teniamo anche a mente che, per evitare uno scenario di disastri ambientali per mano dell’uomo, a causa di scarsa consapevolezza quand'anche ignoranza sulle questioni ecologiche, è necessaria più che mai una corretta informazione su tali argomenti.
Come ricorda il giornalista Sergio Ferraris, “brevettiamo in Giappone case antisismiche e poi non le costruiamo ad Amatrice”. L'Italia è la nazione che detiene il maggior numero di siti Unesco inclusi nella lista dei Patrimoni dell'Umanità: ben 51. Di rimando, in Pianura Padana – una delle regioni europee tra le più inquinate – “abbiamo 57 siti altamente inquinati, d’interesse nazionale o regionale con le bonifiche praticamente a zero”.
Infine, c’è pure una ragione personale che mi lega ad Ambiente Italia. Il programma, curato da Beppe Rovera e Battista Gardoncini, andava in onda su Rai 3 nazionale dagli studi di Torino dal 1990. Io sono nato proprio in quell’anno. Chissà se i miei nipoti o i mei figli saranno nuovamente in grado di occuparsi di ambiente. E di Italia.

N.B. Sul sito Change.org vi sono due petizioni per chiedere il ripristino sia di Ambiente Italia si di Scala Mercalli

sabato 3 settembre 2016

Il bar a una dimensione



"Locale pubblico dove si possono consumare, da seduti o in piedi al banco, bevande e cibi leggeri". Questa è la definizione data dal dizionario online del Corriere della Sera al vocabolo "bar". Il corsivo sulla parola "pubblico" è invece mio. E serve per porre l'accento su una dimensione che ci sta sfuggendo troppo leggermente di mano. Si tratta della dimensione sociale: la sfera interessante (dal latino inter-esse, ossia "essere in mezzo, partecipare"). 


Effettivamente, nella civiltà consumistica postmoderna si sta verificando sempre di più uno sgretolamento dei rapporti interpersonali, uno smembramento delle relazioni quotidiane a-tu-per-tu, vis-vis, corpo-a-corpo. Infatti, connessi continuamente alla "realtà virtuale" mediante schermi di tablet o Pc, ci stiamo inconsapevolmente scollegando dalla "Realtà reale". Avatar di una Second Life, l’identità di ciascuno si riduce a un profilo Facebook, la libertà d’opinione a un cinguettio e il dialogo tra individui a una chat. E' la transizione dal sociale al social, in cui i naviganti restano intrappolati nella Rete.


Sembra così che non siamo più abituati a con-vivere assieme agli altri nella vita di tutti i giorni e, perciò, quando ciò si verifica, non di rado l'impulsività si trasforma in violenza. Egomania o narcisismo esasperato paiono caratterizzare la nostra società, una volta di più chiusa in se stessa, che produce solitudine evitando il confronto con la diversità. Tuttavia, l'alterità rappresenta un prezioso elemento arricchente: sia, semplicemente, come biodiversità o varietà genetica - indispensabile per l'evoluzione e la conservazione delle specie - sia sotto forma di multiculturalismo - fondamentale per la costruzione di una esistenza improntata a un vero ben-essere.


L'etica dovrebbe allora concretizzarsi in uno sforzo, un conatus che ci permetta di schiudere la corazza di pregiudizi e istintiva xenofobia che riveste la nostra anima, per aprirci finalmente all'Altro.


Insomma, il bar è per eccellenza uno spazio sociale. Quando esso si trasforma in un self-bar, dovremmo forse preoccuparci...

venerdì 26 agosto 2016

W Verdi…Bianchi e Rossi!

Dal 27 agosto al 2 ottobre, presso il “Museo degli ex voto” di Dogliani (CN), sarà possibile visitare un’interessante mostra che esibisce i disegni del fumettista Danilo Paparelli, dedicati ai protagonisti del Risorgimento italiano. L’esibizione presenta le tavole illustrate per il volume dello stesso Paparelli, dal titolo Viva Verdi, Bianchi e Rossi (Editrice Nerosubianco), nel quale l’autore racconta, attraverso le sue vignette, i personaggi del periodo storico che ha portato all’Unità d'Italia.



Il graphic di Paparelli


Il libro, nel dettaglio, rivisita in chiave satirica e moderna le più famose autorità del nostro Risorgimento: il movimento storico di rinnovamento e rinascita politica e culturale del Bel Paese. Si tratta dunque di una galleria di ritratti, non solo grafici ma anche biografici, in cui vengono tratteggiati i valorosi combattenti e i maître à penser dell’epoca, tutti accomunati dall’idea un po’ folle di riunire i vari Stati che allora componevano la nostra penisola in una sola nazione.

Il “Viva Verdi” con cui si apre il titolo era l’acronimo di “Viva Vittorio Emanuele Re d'Italia”: frase che i patrioti scrivevano sui muri delle case per incitare gli altri rivoluzionari all'insurrezione. L’aggiunta di “Bianchi e Rossi” del fumettista vuole così assumere una duplice valenza: gli altri due colori che compongono il nostro tricolore e i cognomi italiani più diffusi.

All'interno dell’opera si trova quindi una carrellata di caricature dei principali interpreti della nostra avventura storica: da Garibaldi a Mazzini, da Cavour a Vittorio Emanuele II, fino a quelli meno celebrati ma ugualmente importanti come Cristina di Belgiojoso e i Fratelli Bandiera che, anche a costo della loro vita, hanno contribuito alla causa risorgimentale.

Oltre ai disegni satirici, il libro riporta anche una breve biografia con le notizie più curiose relative a questi personaggi, che spesso non vengono citate dai testi ufficiali, ma che appassionano ugualmente il lettore. 

Insomma, è una piacevole lettura, ma anche, un insolito ripasso della storia: sia per gli adulti che vogliono ripercorrere le gesta in questa saga, sia per gli studenti che affrontano a scuola gli argomenti trattati. La prefazione del testo è affidata ad Alberto Patrucco, comico delle prime edizioni di Zelig ed editorialista di Ballarò, definito da Paparelli stesso un “autentico carbonaro della satira”.




La storia tricolore

A tale proposito, la location della mostra, cioè di Dogliani, pare proprio azzeccata. Il paese adagiato nelle Langhe ha infatti adottato Luigi Einaudi: economista, accademico, politico e giornalista, ma soprattutto secondo Presidente della Repubblica Italiana. Intellettuale di fama mondiale, Einaudi è considerato non a caso uno dei padri della nostra Repubblica. A titolo esemplificativo, nel 1944 scrisse una serie di articoli di economia politica per il Risorgimento Liberale.

Ma perché sono così importanti questo libro e questa mostra? Perché contribuiscono alla divulgazione degli ideali romantici, nazionalisti e patriottici, utili per farci ricordare le nostre origini (pur senza cadere ovviamente nel bieco sciovinismo xenofobo e nazionalistico). In effetti, sappiamo relativamente poco delle radici della cosiddetta “Italia Turrita”. Anzi, forse sappiamo più dell’Indipendece Day che ha portato alla nascita degli Stati Uniti d’America, che non le guerre d’indipendenza nostrane!

La ragione probabilmente risiede nel fatto che gli americani hanno fatto della propria Storia un’epica universale, un romanzo storico appassionante, che emoziona colui che ne viene a conoscenza e, perciò, si ricorda più facilmente rispetto all’italica cronaca antiquata. La storiografia italiana sembra boriosa perché, paradossalmente, troppo “storica”, realistica, fattuale. Al contrario, il passato a stelle e strisce si presenta nelle vesti di un grande racconto memorabile, una narrazione mitica continuamente alimentata e tenuta viva nel quotidiano tramite colossal cinematografici autocelebrativi e prose encomiastiche, e non solamente documentata su vecchi libri impolverati delle biblioteche. E poco male se la fedeltà storica, l’aderenza ai fatti e il ricorso metodologico a fonti attendibili sono messe parzialmente da parte, rimpiazzate da spettacolarità delle gesta raccontate, brillantezza del linguaggio utilizzato e marketing subliminale nell’esposizione mondiale delle proprie origini.

Concludiamo questa riflessione, scaturita dall’evento culturale della mostra di Paparelli, con una serie di titoli cinematografici che negli ultimi anni hanno risvegliato la coscienza storica degli italiani, grazie al medium di comunicazione di massa, facendo ribattere il cuore tricolore! Noi credevamo: film del 2010 diretto da Mario Martone, su sceneggiatura dello stesso regista e di Giancarlo De Cataldo, liberamente ispirato alle vicende storiche realmente accadute e al romanzo omonimo di Anna Banti. I Viceré: pellicola drammatica del 2007 diretta da Roberto Faenza, tratta dal libro di Federico De Roberto. In particolare, il film narra le vicende del Risorgimento meridionale.

Ben vengano, quindi, belle iniziative pensate per divulgare ai cittadini, mediante opere d’arte popolari e di massa, ciò che eravamo: per capire ciò che siamo e, soprattutto, ciò che vogliamo essere.

mercoledì 20 luglio 2016

“Cloud Atlas”: Tempo, Verità, Libertà



Ha suscitato scalpore e curiosità – non solo nel mondo della settima arte – la recente notizia della “metamorfosi” delle sorelle Wachowski. Infatti, ora anche Andy (nato Andrew) ha rivelato la sua “evoluzione” come Lilly. In passato era stato il fratello maggiore, ossia Larry (nato Laurence) a trasformarsi in Lana. I due geniali cineasti di Chicago, divenuti famosi dopo aver diretto la spettacolare trilogia di The Matrix, sono perciò usciti allo scoperto facendo pubblicamente outing e palesandosi come donne transgender. Cambiare corpo per trovare la propria identità: la saga degli ex fratelli Wachowski sembra già di per sé una intrigante sceneggiatura per un eccentrico movie hollywoodiano.

D’altra parte, temi quali i concetti di reincarnazione e transfer spirituale, rappresentazione e transizione, universi paralleli e destino sono tutti ben presenti nelle loro pellicole. La poetica dei loro film, effettivamente, è incentrata sulla costante contaminazione di generi, sul duello tra reale e virtuale, com’è tipico dell’estetica del postmoderno o delle filosofie orientali. D’altronde, nell’epoca della bioingegneria e della robotica, le questioni dell’ibridazione tra uomini e animali, OGM, chirurgia plastica, cyborg e intelligenze artificiali non sono più oggetto di fantascienza. Inoltre, l’ideale buddista del bodhisattva (“essere un’illuminazione” in sanscrito) – che prescrive la regola aurea secondo cui tutte le cose esistenti nell’universo sono unite da un rapporto d’interrelazione e d’interdipendenza, similmente alla metafora della rete di Indra, o al Tao come unione di yin e yang – non sembra molto lontano dalla lezione dell’ecologia, per cui ogni organismo è intrecciato nel tessuto ecosistemico del rispettivo ecotopo. E che cos’è poi il karma, se non l’accento sulle conseguenze morali delle scelte passate che di fatto ereditiamo e che condizionano le (ri)nascite future?

Ecco il nucleo concettuale e narrativo su cui è costruito Cloud Atlas, film del 2012 scritto e diretto dai/dalle fratelli/sorelle Wachowski, insieme a Tom Tykwer. Il lungometraggio, tratto dal romanzo L'atlante delle nuvole di David Mitchell, intreccia infatti sei storie ambientate in luoghi e tempi diversi, legando personaggi e situazioni tramite riferimenti e citazioni interne (ad esempio, la voglia a forma di stella cometa che contrassegna il corpo del protagonista messianico intenzionato a cambiare il mondo in cui vive). Nel dettaglio, gli episodi narrati sono: “Il Viaggio nel Pacifico di Adam Ewing” (metà ‘800); “Lettere da Zedelghem” (anni ’30 del XX secolo); “Mezze vite – Il primo caso di Luisa Rey” (anni ‘70); “La tremenda ordalia di Timothy Cavendish” (epoca contemporanea); “Il verbo di Sonmi~451” (futuro distopico); “Sloosha Crossing e tutto il resto” (futuro post apocalittico). Cloud Atlas è, da questo punto di vista, un’opera ricchissima di contenuto, confezionata in una forma maniacale e visionaria. Pellicola fantasmagorica, colma di citazioni colte (due su tutte Solzenicyn e Soylent Green), che si colloca all’interno del genere distopico, andando a trattare in maniera iperbolica la critica all’«ordine naturale prestabilito» dello status quo e, di rimando, la possibilità di emancipazione da esso. Film lungo e largo nello spazio e nel tempo, che incastona sei storie particolari in un’unica grande Storia.


A ben vedere, tutti i diversi argomenti che si dipanano nelle varie vicende (rispettivamente schiavismo, omofobia, femminismo, senilità, consumismo, sopravvivenza) rientrano nella macro-tematica della Libertà, presupposto fondamentale per il raggiungimento della Verità, occultata e maneggiata dal potere di turno. Una storia diacronica dell’umanità, perciò, che affronta il Tempo con un’apertura di prospettive mostruosa: dal tempo lineare e vettoriale al ciclico eterno ritorno dell’eguale. Sei racconti accomunati da un medesimo schema narrativo, incastrati – come preziose pepite – l’una con l’altra grazie, in primo luogo, ad elementi che fungono da “staffetta” tra le sequenze (ad esempio, la corrispondenza epistolare dei due innamorati, la statua della divinità nel tempio/cimitero, il diario di bordo messo sotto la gamba di un tavolo!) e, in secondo luogo, alla presenza dello stesso cast, truccato e trasformato di volta in volta con risultati stranianti. La Libertà vista in sei differenti contesti storici, dunque, e attraverso altrettanti registri narrativi: dalla vicissitudine comica, quasi picaresca del vecchio editore che organizza la fuga da una casa di cura per anziani, fino alla tragica epopea della donna «artificio» nella Nuova Seul.

Ogni vicenda presenta una situazione di segregazione, da quella letterale dello schiavo ai tempi della lotta a favore dell’abolizionismo, a quella assai meno appariscente della prigionia dei consumi al tempo del capitalismo sfrenato. All’interno di queste galere dell’anima umana si nascondono degli eroi, coloro che in qualche modo sanno oltrepassare la situazione alienante del presente. Sono i redentori del genere umano, quello strato di reietti e perseguitati di ogni razza e colore, direbbe Herbert Marcuse, ancora in grado di superare le barriere mentali della propria epoca, fatte di pregiudizi e conformismo conservatrice, che celano «il vero vero». Costoro rappresentano i reali soggetti rivoluzionari capaci di spezzare il circolo vizioso che imprigiona il presente, caratterizzato dalle contraddizioni che il Potere ogni volta produce e mantiene nell’ombra.

Il Male si incarna qui nelle forme politiche autoritarie della storia: i proprietari terrieri e schiavisti del ‘600, il nazismo e le superstizioni razziali tra le due Guerre Mondiali, i detentori delle risorse energetiche come petrolio ed energia atomica negli anni ’70, i fedeli del dio denaro del XXI secolo, le holding multinazionali di un futuro prossimo alle porte e, infine, i cannibali di un’era preistorica che rappresenta la fine o l’innesco di una fase storica. Proprio questa età del mondo è il perno su cui ruota il lungometraggio (una sorta di collage tra 6 cortometraggi), dal momento che esso parte e termina con il faccione tatuato di Tom Hanks che si staglia davanti al cielo stellato di una galassia lontana, ascoltando «gli antenati cianciare». Passato, presente e futuro si amalgamano in una specie di élan vital in cui «ogni cattiveria e ogni gentilezza si ripercuotono sul nostro futuro» (ad sensum).

Siamo nel “106 dopo la Caduta” (catastrofe ecologica, bellica o nucleare) e gli uomini sono divisi in tre classi: i “Prescenti” (custodi della scienza e della tecnologia), dei selvaggi allevatori di pecore e i cannibali. Questi ultimi sono, in qualche modo, la metafora vivente del Male di ogni periodo storico, in quanto si cibano dei propri simili: del loro corpo o anche della loro essenza antropologica. I pecorari, invece, parlano una lingua assai povera e sconnessa: altro cliché del genere distopico. L’esistenza è percorsa quindi da una crudele lotta per la sopravvivenza fisica e solo un alieno venuto da lontano, in grado di pensare «altro», può essere quello spiraglio di salvezza che, squarciando il Velo di Maya e uscendo dalla Caverna platonica, scopre la Verità e conduce pertanto alla Libertà.

Ultima annotazione: Cloud Atlas è, nel film, il titolo dell’opera musicale composta dal giovane e abilissimo pianista gay, morto suicida nel film. Essa simboleggia in un certo senso la sinfonia della Bellezza che risuona in eterno, abbracciando e confortando le anime emarginate dalla società, i diversi: ancore di salvezza che sono ancora in grado di abbandonare il peso delle convenzioni e delle regole ingiuste, per far volare in cielo le proprio idee fino a contemplare, libere e leggere, la Luce della Verità. Atlante delle nubi, geografia della galassia umana.