venerdì 15 luglio 2016

Cuore di cuoio



I campionati europei di soccer appena trascorsi ci hanno lasciato impresse negli occhi tre immagini. La prima è drammatica nel senso di catartica, come i grandi classici dell’epoca aurea del teatro greco. Si tratta del coro vichingo con cui la compagine islandese era solita congedarsi dai suoi tifosi, ringraziandoli per il sostegno, al termine di ogni match. Il rito norreno, cosiddetto “Geyser Sound”, è stato definito l’haka scandinava: una danza vulcanica e geotermica che ha sciolto le pupille ghiacciate di noi supporters mediterranei. Esso ritrae la cerimonia liturgica con cui l’intero popolo insulare si è unito intorno al sogno da favola della sua squadra cenerentola, sebbene barbuta e tatuata, vestita di bianco-rosso-blu. Gli stessi colori ritroviamo nella seconda immagine: il fotogramma ripreso in autostrada con la videocamera di un cellulare, che riprende il bus scoperto, sulla cui fiancata campeggia la réclame “Champions d’Europe”, già pronto per il tour di Parigi dell’equipe francese. Questa è comica in quando rappresentazione di una beffarda ironia del destino; quasi una punizione degli dei del tempio calcistico per gli eroi dell’arena verde, che hanno peccato di hybris (o grandeur che dir si voglia). La raffigurazione finale è invece quella del bambino portoghese che conforta il fan dei Bleus singhiozzante, dopo la sconfitta contro CR7 & Co. Essa assurge a simbolo dell’umana commedia: dolceamara come le lacrime di delusione che si abbracciano a quelle di chi si commuove di gioia, provando pietà per il nemico vinto. 




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