martedì 7 marzo 2017

Terra – Le Luci della Centrale Elettrica

Dalla provincia ferrarese all'intero orbe terracqueo, il passo è breve. Soprattutto se ti chiami Vasco Brondi, e hai lo stesso nome dell’esploratore che per primo navigò dall’Europa fino in India. E lo stesso nome di un altro cantautore emiliano che – comunque la si pensi – ha esplorato con la sua musica parlata o gridata lande desolate e continenti sommersi della psiche umana. Vasco Brondi, alias Le Luci della Centrale Elettrica, d’altra parte è uno abituato a viaggiare con le parole, dal quartiere di casa sua alle galassie più lontane dello spazio cosmico. 


Una tribù che sballa

Un lavoro etnico, si è detto della sua ultima esplorazione discografica. Come se i precedenti suoi album non fossero già abbastanza “etnici”, nel senso di indagini socioantropologiche sugli usi e costumi di questa umanità liquida nei tempi postmoderni – Bauman docet.

Il nuovo disco, ad ogni modo, è effettivamente valida espressione di Cantautorato World Music, soprattutto a livello tematico. Ma anche in materia sonora, data l'aggiunta di percussioni, cori e arpeggi a loro modo tribali. Si tratta allora di una creativa perlustrazione della nostra tribù multiculturale, che erra nomade tra i jet lag e i Non-Luoghi del Villaggio Globale. 

È un Vasco Brondi decisamente più maturo, che lascia crescere i basettoni in una folta barba hipster-mediorientale, accorcia i capelli arruffati e sostituisce le occhiaie con uno sguardo più fiero che scruta oltre la linea dell’orizzonte.  



Luci più luminose

Dalla cupe vicende esistenziali di un'adolescenza periferica, al narrare i fatti del mondo gettato nel XXI secolo. Questo è il grande passo delle Luci, che paiono adesso vedere le cose attraverso uno spiraglio di maggiore speranza. Armonie più brillanti, note cantate in maniera più netta, più corde che vibrano come cristalli e meno distorsioni elettromagnetiche da ferro arrugginito. Cambiamenti visibili già a partire dalla copertina (persino vagamente coldplayiana): monoliti fluorescenti su un suolo arido, dolmen e menhir psichedelici eretti verso un cielo in tenue tramonto pastello. Che possono essere totem di pietra dipinta da una specie in via d'estinzione, segnali di SOS per alieni o semplici costruzioni infantili. 

Insomma, un diario del Pianeta Blu che sta diventando sempre più scolorito. Un audiolibro di favole metropolitane o fiabe urbane, un notiziario in versi tra titoli di cronaca, paragrafi narrativi, immagini poetiche e riflessioni filosofiche. Alla ricerca di risposte, ma soprattutto di domande.


mercoledì 8 febbraio 2017

"La La Land": quando vivere nella realtà significa essere nel mondo dei sogni

Il jazz e il teatro: due specie in via d’estinzione, che il giovane e sorprendente regista Damien Chazelle riesce magicamente a riportare in vita grazie al suo ultimo, strabiliante film, La La Land.



Tra le stelle di Hollywood 

Una pellicola d’altri tempi, che riesce a raccontare in modo straordinariamente attuale la contemporaneità: è questo l’incantesimo del pirotecnico e onirico musical in questione. Un lungometraggio che straborda di vita da ogni inquadratura, dove il piano sequenza – tecnica di ripresa fluida, tornata in auge da maestri come Alejandro González Iñárritu (Birdman, Revenant) – diventa non solo esempio di virtuosismo tecnico, ma strumento ottico caleidoscopico e vertiginoso per lo spettatore.

Un film d’evasione che si trasforma gradualmente in sottile racconto drammatico, attraverso un’evoluzione di stile, forma e contenuti che parte dalle surreali e grottesche scene iniziali, fatte di balletti e ritornelli da classica commedia musicale anni ‘50, per arrivare a dialoghi di fine intensità psicologica. È la magia del cinema, fabbrica dei sogni per eccellenza, che si avvale qui del potere della musica per comunicare una storia passionale, che fa provare al pubblico l’ampio spettro delle emozioni. Già, perché sia il jazz che il teatro (e il cinema, ovviamente) sono molto di più che due semplici forme artistiche: sono due modi di vivere che implicano passione, sudore, abnegazione, rabbia, gioia, follia, perseveranza.



Stone e Gosling brillano

Spumeggiante gioia policromatica e calma malinconia sono i due ingredienti che Chazelle mischia in maniera alchemica: sole e luna, giorno e notte, luci della ribalta e buio underground scandiscono il ritmo dell’opera, in cui il canto, la danza e la musica diventano momenti metaforici delle varie stagioni dell’esistenza.

Non mancano temi culturali di ampio respiro quali la critica raffinata ai facili tormentoni del pop mainstream, e ai tic dello star system hollywoodiano. Di converso, emerge l’elogio al lavoro artigianale di qualità, che si ottiene dopo anni di investimento in termini di risorse ed energie.

Vita e sogno, dunque, anzi vita come sogno ambizioso di realizzare i propri desideri. Merce rara, quella dei sogni, nell’epoca precaria della crisi finanziaria, simboleggiata dal così autentico schermo rotto dello smartphone della co-protagonista Emma Stone. Ma i sogni, come ci mostra Chazelle, sono capaci di portarci in alto, sino a danzare poeticamente come stelle tra galassie e nebulose, ma anche lontano dagli affetti più cari.

Non mi dilungo sulle interpretazioni perfette degli attori, Ryan Gosling ed Emma Stone in testa. Solo qualche cenno sui loro personaggi. Lui, b-side dionisiaco e purista del jazz: aristocratico di spirito e a caccia di piano bar per tirare a fine mese con la musica. Lei, aspirante attrice apollinea, che serve il caffè alle dive degli studios, per campare tra un provino e l'altro. Due giovani esistenze che vivono di velleità per raggiungere le loro visioni.
     
Insomma, La La Land ha esaltato la critica e diviso in due il pubblico tra chi lo ha amato e chi lo ha detestato. Solitamente capita così ai capolavori.

mercoledì 4 gennaio 2017

L'anno che verrà...per l'ambiente




Il 2016 è stato l’anno più caldo della storia – almeno da quando si rileva la temperatura con criteri scientifici –, come ha riportato il Rapporto dell’agenzia meteo dell’ONU per la Cop22 (nonostante il negazionismo climatico del neo Presidente Usa Donald Trump…). Le principali cause sono, da una parte, l’intensa corrente proveniente dal Pacifico sudorientale chiamata El Nino; dall’altra, l’intensificarsi delle attività antropiche.



150 anni di "ecologia"


Inoltre, l’ambiente in Italia fa notizia, anche se la stampa è ancora poco green. È il dato che abbiamo commentato qualche articolo fa, analizzando il Rapporto 2016 “L’informazione ambientale in Italia”, promosso da Pentapolis Onlus, in occasione del 3° Forum nazionale “Ambiente tra informazione, economia e politica”.


Sono notizie poco confortanti, a maggior ragione proprio nell’anno che celebra i 150 anni dell’ecologia. Infatti, era il 1866 quando il biologo tedesco Ernst Haeckel coniò il termine “ecologia” per designare quella disciplina che studia gli esseri viventi nel loro rapporto con l’ambiente. Una parola che negli anni a venire ha assunto una valenza notevole, fino a diventare il concetto chiave della tutela ambientale e dell’equilibrio con la natura. Ne ha parlato, tra gli altri, Alberto Basset, presidente della Federazione delle Società Europee di Ecologia, su Radio3.


Verde speranza

Tuttavia, ci sono state anche delle buone notizie sul fronte della sostenibilità ambientale. Una di queste è che la green economy italiana è fra le migliori in Europa, come rileva Edo Ronchi, Presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, nella Relazione sullo stato della Green Economy 2016.

Cosa ci riserverà, infine, l’anno nuovo? Per esempio, il quotidiano La Stampa ci informa che Pantone – l’azienda leader nella gestione dei colori nel mondo dell’industria e della chimica – ha eletto il “greenery” come colore del 2017. Si tratta di una tonalità che mischia il verde e il giallo simboleggiando una filosofia “ambientalista”.

Certo, vestirsi di verde non sarà affatto necessario per arrestare il cambiamento climatico. Ma può essere un segnale del cambiamento di mentalità della società.